martedì 20 novembre 2018

Un'idea di libertà

“Le tavole erano opera di Dio e la scrittura di Dio 
era libertà sulle tavole.” 
Esodo 32:16

“È libero solo colui che si dedica allo studio dell’Insegnamento” 
Avot 6:2

Non ricordo con precisione come sia successo, né la data precisa, ma una decina di anni fa è affiorata in me la domanda seguente: “perché gli ebrei sono stati perseguitati ripetutamente, per più di tremila anni”?

Può sembrare mossa dalla curiosità, o forse da un interesse culturale, ma in ogni caso rimane un problema che ha riguardato una moltitudine di persone lungo la Storia. In effetti io stesso pur avvertendo l’urgenza di trovare una risposta, procedevo senza capire perché la stessi cercando. L’ho capito solo quando, trovata la risposta, ho scavato più a fondo in me stesso.

Ho dovuto innanzitutto iniziare a guardare la Bibbia in modo anticonvenzionale: come la più antica e duratura “istanza critica contro ogni cultura dominante”, come la definisce Silvano Fausti, nel suo libro intitolato “Per una lettura laica della Bibbia”.

Poi ho dovuto capire chi erano effettivamente quegli Ebrei che hanno dato vita al monoteismo in occidente. Qui mi è venuto in soccorso Moni Ovadia, con il suo spettacolo Kavanah, in cui declamava citando a braccio dal libro “Storia degli ebrei” di Chaim Potok: “Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra”.

Poco oltre il passo citato da Ovadia, Potok scrive anche che “il riconoscimento biblico dello schiavo come un individuo che ha dei diritti, sebbene gli manchi lo stato di uomo libero, non ha paralleli nelle leggi mesopotamiche”. Insomma avere dei diritti per il solo fatto di essere umani era un’idea sovversiva per quei tempi.

Ho passato poi un’intera estate a leggere il libro di Potok e a stupirmi di come la storia degli Ebrei sia intimamente legata alla storia dell’occidente, al punto che non conoscerla significa non capire veramente a fondo la nostra Storia.

E così mi sono soffermato a riflettere su due pilastri, profondamente innovativi per l’antichità: la libertà dall’oppressione, per tutti, e l’alfabetizzazione, funzionale a tale libertà (“scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” Deuteronomio 6:9). E un gruppo di individui che predica libertà e alfabetizzazione per tutti è un chiaro pericolo per ogni forma di potere. Si capisce dunque la persecuzione.

È stato solo in quel momento, trovata la risposta al quesito iniziale, che ho capito anche da dove veniva la domanda. Era sgorgata inconsapevolmente dal mio amore per la libertà individuale, dal mio cuore anarchico, che fin da adolescente sempre ha diffidato di ogni forma di organizzazione che preveda una “catena di comando”. E da quel momento ho iniziato anche a scoprire moltre altre cose e “vedere” ciò che spesso è sotto gli occhi di tutti, ma che quasi nessuno vede, a causa della propaganda che la cultura dominante esercita sistematicamente.

Il linguista Joel Hoffman sostiene, nel saggio “In the Beginning: A Short History of the Hebrew Language”, che l’invenzione delle “madri di lettura” fu determinante per rendere la scrittura accessibile a tutta la popolazione, non più privilegio esclusivo dei potenti e dei funzionari. Non a caso il tetragramma è composto solo da madri di lettura. E quando Dio cambia nome ad Abramo e Sara, lo fa inserendovi una madre di lettura, come cifra di una appartenenza. Tale invenzione linguistica portò poi alla introduzione esplicita delle vocali negli alfabeti derivati dall’antico ebraico (detto anche fenicio), quali sono il greco e il latino, favorendo la diffusione della scrittura e della lettura presso tutti i popoli.

Se nel mondo occidentale di oggi i diritti umani e il divieto di uccidere e rubare sono qualcosa di scontato, lo si deve in buona parte anche a chi, 3.200 anni fa, ebbe il coraggio di difendere tali diritti e doveri. Il decalogo è stato scritto in ebraico, con i caratteri ebraici antichi (non esistevano ancora quelli aramaici). Certo, erano gli stessi caratteri usati dai vicini fenici. Ma il fatto che a scuola ci insegnino che i nostri alfabeti occidentali derivino proprio dal fenicio, una lingua di cui non ci è giunta nessuna opera letteraria degna di nota, e negando di fatto una radice ebraica delle lingue scritte, è quantomeno imbarazzante.



Mi è bastato leggere alcune delle ricerche di Giovanni Semeraro per scoprire in seguito come anche il significato nascosto di migliaia di vocaboli occidentali risieda nel suono originario dell’Accadico, che spesso si ritrova rispecchiato fedelmente anche nell’Ebraico.

Ma queste cose possono forse apparire persino aride se confrontate con altre affascinanti scoperte che rivelano quanto l’occidente sia influenzato dalla cultura ebraica, almeno tanto quanto quella ellenistica. 

Tutti gli studenti di liceo hanno sentito parlare sui banchi di scuola del grande filosofo alessandrino Filone di Alessandria. Pochi sanno che era ebreo osservante. Né tantomeno che il fratello di Filone, Alessandro l’Alabarca, ricchissimo e potente amico di Roma, fece ricoprire con lastre d'oro ed argento massiccio nove porte del meraviglioso tempio di Gerusalemme. Il figlio di Alessandro, Tiberio Giulio Alessandro, abbandonò la religione del padre, divenne un politico e generale romano, appartenente all'ordine equestre dell'Impero. In occasione dell'assedio di Gerusalemme, ricopriva il ruolo di comandante in seconda di Tito e distrusse il tempio adorato dal padre. In due sole generazioni di una stessa famiglia possiamo vedere come la storia dell’ellenismo e dell’ebraismo siano state intrecciate quanto i fili di trama ed ordito.

Cicerone già nel 59 a.C. nell'orazione per Lucio Flacco descriveva con una certa preoccupazione la presenza di una fortissima comunità ebraica a Roma, che oggi può quindi vantare di essere certamente tra le più antiche della Storia. Non fu quindi su un terreno vergine, fatto di pagani ignari del monoteismo ebraico, che i seguaci della via di Gesù predicarono la buona novella del Messia risorto per la salvezza di tutti gli uomini, senza confini di appartenenza. I primi cristiani parlavano prima di tutto agli ebrei nelle sinagoghe e ai pagani già simpatizzanti e affascinati da un ebraismo che prometteva libertà e salvezza per tutti.

Proprio per questo la convivenza tra cristiani ed ebrei non fu semplice, ma nel tempo ha conosciuto anche momenti più felici, come è testimoniato ad esempio da un commovente sonetto di Gioacchino Belli del 9 maggio 1835 intitolato “La morte der Rabbino” che purtroppo le antologie scolastiche non si preoccupano minimamente di divulgare:

    È ito in paradiso oggi er Rabbino,
che ssaría com’er Vescovo der Ghetto;
e stasera a li Scòli j’hanno detto
l’uffizzio de li morti e ’r matutino.

     Era amico der Papa: anzi perzino
er giorn’istesso ch’er Papa fu eletto
pijjò la penna e jje stampò un zonetto 
scritto mezzo in ebbreo mezzo in latino.
              
     Dunque a la morte sua Nostro Siggnore
cià ppianto a ggocce, bbe’ cche ssia sovrano,
e cce s’è inteso portà vvia er core.
              
     Si ccampava un po’ ppiú, tte lo dich’io,
o nnoi vedemio er Rabbino cristiano,
o er Papa annava a tterminà ggiudio.

L’epurazione di ogni legame con l’ebraismo è così forte nella nostra cultura, che quando faccio notare che il nome del nostro più illustre scienziato, Galileo Galilei, è massimamente ebraico, quasi sempre vedo sguardi increduli e stupefatti. Tutti siamo ammaestrati a pensare subito a Pisa, la torre da cui egli misurava la caduta dei gravi, mai alla regione che diede i natali al Nazareno: la Galilea. Non so se egli fosse di origini ebraiche, non lo si può sapere, come per molti italiani, ma è certamente un fatto assai curioso che il suo nome neppure suoni alle nostre orecchie come toponimico!

Tutti conoscono Don Lorenzo Milani, ma pochi sanno che fosse ebreo. Paolo Levrero nel 2013 ha pubblicato un saggio intitolato “L’ebreo don Milani” che getta luce nuova sull’impegno sociale dell’ex parroco di Barbiana, basata non a caso sulla pedagogia e l’alfabetizzazione. E con Milani siamo tornati al punto iniziale del discorso: la difesa della libertà e della dignità di ogni singolo individuo, inteso in senso universale, senza distinzione o appartenenza identitaria.

Ma bisogna ancora ricordare un altro pedagogo famoso: Achille Ratti, che da giovane insegnava matematica al seminario minore. Dopo aver studiato l'ebraico al corso arcivescovile, approfondì gli studi con il rabbino capo di Milano Alessandro Da Fano, diventando poi docente di ebraico in seminario nel 1907 e mantenendo l'incarico per tre anni. Come docente portava i suoi allievi nella Sinagoga di Milano, affinché familiarizzassero con l'ebraico orale.

Fu forse anche per questo che, diventato Papa con il nome di Pio XI, il 6 settembre 1938, all’indomani del primo “Provvedimento per la difesa della razza” (con il quale scolari e docenti ebrei vennero esclusi dalle scuole pubbliche e dalle università), pronunciò un discorso di denuncia verso l’antisemitismo. Discorso sconosciuto ai più, anche perché l’intervento venne pubblicato sull’Osservatore Romano in versione ridotta. Insomma venne censurato: e pensare che lui era il Papa!

Oggi sento che noi occidentali dovremmo tutti fare nostre le parole conclusive del discorso di Achille Ratti, pubblicato integralmente nel libro di Emma Fattorini "Pio XI, Hitler e Mussolini": “Abramo è definito il nostro patriarca, il nostro avo. L'antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo. L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare. … Attraverso Cristo e in Cristo noi siamo i discendenti spirituali di Abramo. … Non è lecito per i cristiani prendere parte all'antisemitismo. … L'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti.

Queste parole risuonano come un grido di lacerazione profonda del cuore. Poiché il senso dell’essere cristiano non può che essere nell’aderenza alla spiritualità ebraica di cui Rabbi Yeshua fu testimone fedele, nella tradizione di Abramo. Ma anche un Papa, in cima a una “catena di comando”, ne è vincolato tanto quanto chi si trova negli anelli più bassi. Per quanto fosse ispirato e profondamente cristiano, non poteva concedersi di essere più libero che in quel suo accorato discorso.



2 commenti:

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