domenica 21 aprile 2019

Una storia senza eroe

Ho sentito Rav Della Rocca spiegare che in Sinagoga il giorno in cui si arriva a leggere l’ultima pagina della Torah, si ricomincia dall’inizio, in modo da proseguire in una lettura infinita.

In effetti non c’è un personaggio che si possa considerare il vero protagonista della Bibbia,  un eroe. Sono tutti mai del tutto santi, mai davvero eroi.

Abramo, Giacobbe, Mosè, Davide, Isaia, tutti appaiono e ad un certo punto escono di scena senza che ciò determini una conclusione del racconto. È come se in modo implicito anche il lettore sia invitato a fare la sua comparsa, per il tempo della propria vita, nel palcoscenico del mondo.

Particolare del Sacrificio di Isacco (Caravaggio)
Particolare del Sacrificio di Isacco (Caravaggio)

Questo invito è troppo impegnativo per la maggioranza delle persone. Essere ebrei è quindi un destino per una minoranza: un’elezione o una condanna, o forse entrambe le cose.

Così da un certo punto di vista, un po’ riduttivo, il cristianesimo può sembrare come una versione dell’ebraismo adattata ai pagani, accessibile anche ai goym, essoterica, divulgativa, più facile per tutti. La storia ha un inizio, una fine e un eroe senza macchia.

Ma pure quell’eroe scompare, esce di scena, almeno temporaneamente, e altri diventano i protagonisti di una storia che continua nella Storia. In primo luogo perché tocca a tutti noi, anche in questo caso, fare la nostra parte, fino al Suo ritorno.

E poi perché la Storia del mondo, quella fatta dalle nostre tante vite umane, non gira mai attorno a un solo eroe. Tutti siamo chiamati ad essere santi, almeno un poco, ma nessuno potrebbe mai esserlo in modo esclusivo. Proprio come nella Torah, dove il vero protagonista ed eroe è il volto sfuggente del totalmente Altro, che a volte si intravede appena, solo nel volto inerme del prossimo.
 

martedì 1 gennaio 2019

Clara

Ci sono immagini che mi appaiono all’improvviso, poi mi perseguitano per giorni fino a che non capisco il loro messaggio. Mi è successo l’altro giorno con una scena del film “La casa degli spiriti”, mentre ero a tavola, inaspettatamente.

Nel film Clara è a tavola e chiede alla cameriera di dire qualcosa a Esteban, il protagonista, suo marito. Lei ha promesso anni prima di non parlargli più. Perciò comunica con lui solo così, per interposta persona.
Ragionando su questa immagine mi sono ricordato che Sergio Quinzio sostiene ne “Il Silenzio di Dio” una tesi che non condivido. Lo fa con mirabile intelligenza e profondità. Ma secondo me Dio è tutt’altro che muto. All’inizio l’Altissimo parla sempre direttamente con l’Adam, l’Uomo. Poi succede qualcosa, un tradimento. Da quel momento inizia a parlare solo per mezzo dei Profeti.

Trovo che nessuna immagine sia tanto efficace per rappresentare il modo in cui Dio ha scelto di parlare agli uomini, quanto quella di Clara, che non smette mai di amare suo marito, nonostante la sua brutalità, ma si rifiuta ostinatamente di rivolgergli la parola.

La determinazione e la grazia, la fermezza e la mitezza di quella donna, sono gli attributi più pregnanti che mi aiutano a decifrare una sorta di enigma. Mi sembra di intuire in che modo si giochi la relazione, difficile ma non impossibile, tra noi e quel totalmente Altro che siamo chiamati ad ascoltare, sebbene le sue parole non sembrino mai rivolte direttamente a noi.