sabato 24 giugno 2017

Un hacker di nome Caino

Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden,
perché lo coltivasse e lo custodisse.
Genesi 2;15

Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore;
anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso.
Il Signore gradì Abele e la sua offerta,
ma non gradì Caino e la sua offerta.

Genesi 4;2-5

Le domande più importanti che riguardano la nostra vita faticano a trovare risposte adeguate. Succede allora di cercare lumi rivolgendosi alla scienza, che da qualche secolo sembra aver conquistato una maggiore fiducia da parte dell’uomo, soprattutto grazie ai progressi delle sue applicazioni tecnologiche, davvero meravigliose.

Ma le risposte della scienza generano sempre altre domande, perché ad ogni problema che essa risolve ne segue uno nuovo, spesso più complesso del precedente. Ciò è dovuto in parte alla natura stessa della scienza, al suo modo di procedere per ipotesi e tentativi, ma ancor di più alla sua direzione che ha origini assai lontane.

La scienza non è la soluzione perché la scienza è parte del problema, un problema che viene da lontano. Si tratta del modo di guardare la realtà, il modo di porsi e di affrontarla, che ha le sue radici in una mutazione antropologica antichissima, quella che ha dato origine alle prime grandi civiltà.

Il principio fu l’invenzione dell’agricoltura intensiva grazie alla lavorazione della terra. Non si trattava più di raccogliere i frutti spontanei della natura, come avviene per la pastorizia e la caccia. Per la prima volta l’uomo iniziò a produrre cambiamenti non solo realizzando qualche utile manufatto, ma cambiando profondamente il modo di funzionare della natura di cui egli è parte, modificando massivamente l’ambiente. Fu l’inizio di una manomissione. Oggi si parlerebbe di hacking.

Perché l’hacker, nel senso originale del termine, è colui che affina la propria abilità fino a riuscire a superare delle barriere, innanzitutto per il piacere di risolvere un problema e poter dire “eureka!”, con lo spirito e l’immaginazione di un bambino che smonta un giocattolo per capire come funziona, e poi lo trasforma in qualcosa di nuovo a suo piacimento.

Fu un cambiamento di direzione e di prospettiva, un nuovo modo di stare al mondo. Ciò produsse la necessità del lavoro da cui scaturirono una enorme efficienza produttiva e l’accumulo di ricchezza che resero possibili l’organizzazione, la scrittura e la civiltà. I benefici ottenuti erano decisamente affascinanti.

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La recente rivoluzione industriale segnò poi un’importante accelerazione grazie alla produzione di manufatti per mezzo di altri manufatti (le macchine), alimentati da fonti di energia inanimate (i combustibili fossili). Ma a ben guardare si tratta ancora di un cambiamento simile all’agricoltura, applicato non più solo alla produzione di cibo da parte delle piante, bensì alla produzione di manufatti da parte degli uomini.

Il coinvolgimento delle masse, che in passato avveniva solo in modo parziale, come per la costruzione di grandi opere faraoniche, con il moderno capitalismo diventa totale e pervasivo diffondendo il reclutamento al lavoro su tutto il pianeta. Il lavoratore alienato nella fabbrica o alla scrivania sta all’artigiano e al pastore come la pianta coltivata nell’agricoltura intensiva sta alla pianta che cresce spontanea. E lo stesso vale ovviamente per gli animali cresciuti nelle moderne forme mostruose di allevamento

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Il più recente passo in questa direzione è la rivoluzione digitale che stiamo vivendo oggi. Dopo gli alimenti e i manufatti, stiamo passando al controllo massivo della produzione di informazioni e sapere, con i social network, i big data e l’intelligenza artificiale.

Il prossimo passo forse già lo si intravede nell’ingegneria genetica e nel transumanesimo. Potremmo arrivare a manipolare la produzione dell’uomo stesso, nelle sue parti come nella sua interezza. Solo a quel punto il progetto di hacking del creato sarà completo.

Siamo come spettatori, prigionieri di un incantesimo, con occhi di fanciullo spalancati ad ammirare le meraviglie che il progresso ci propone, sempre più incalzante. Ci siamo dimenticati che quella direzione, presa tanti secoli prima di oggi, era solo una strada possibile, forse non l’unica. Ci siamo dimenticati che lavorare la terra non è l’unico modo possibile di coltivare e custodire il pianeta.

Allora voglio sognare che un giorno, se non io almeno i miei nipoti, si risveglieranno dall’incantesimo per dare un senso nuovo alla direzione intrapresa per tutti questi secoli. Anziché aspettarsi nuove risposte dalla scienza, decideranno di approfittare finalmente dei suoi magnifici risultati. Cesseranno tutti semplicemente di lavorare, così da poter finalmente iniziare, per i secoli successivi, a manomettere un po' di meno e contemplare un po' di più.

L’umanità entrerebbe allora come in una lunga e perpetua festa di shabbat.

3 commenti:

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  2. Lo dico da sempre.. Io da grande voglio fare il solariano.
    cfr: Isaac Asimov in "Il sole nudo" ed in "Fondazione e Terra"

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    1. Solaria e Gaia sono estremi insopportabili. Forse siamo sul pianeta giusto.

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