domenica 17 aprile 2016

Un bicchiere

Sembra esserci un legame sotterraneo tra le varie dipendenze, per cui taluni sostengono che non se ne può guarire: al più se ne sostituisce una con un'altra. Mi è tornato in mente questo pensiero vedendo la foto scattata da un’amica in un Bar di Bologna. E nel riflettervi mi ha assalito come una visione, con una prospettiva più vasta.

Poesia di Vincenzo Costantino Cinaski
Ho come la sensazione che tutti debbano aver sperimentato talvolta, fin da piccoli, un senso di straniamento, la sensazione che in questa vita ci sia qualcosa di sbagliato. Ad un certo punto però sorge il dubbio che semplicemente si viva in modo innaturale: l'uomo forse ha costruito un sistema di vita, la cosiddetta civiltà, che è profondamente lontano dalla condizione d'origine. E sembra esserlo in moltissimi aspetti: a partire dai più elementari come il tempo, il ritmo di vita, i luoghi e gli spazi, il cibo. Perciò forse il nostro corpo, il nostro istinto animale , se ne accorgono e ce lo rimproverano.

Si può poi discutere se esista un impulso contro natura che spinge l'uomo ad una vita innaturale come sintomo di una malattia, evidenza di un destino della specie umana nefasto, che come un cancro del pianeta porterà alla distruzione e alla ascesa futura forse di altre forme di vita. Oppure se l'uomo abbia in sé l'anelito al superamento della natura, che lo potrebbe portare grazie alla tecno-scienza ad un futuro transumano. Oppure ancora se l'uomo abbia in sé una scintilla del divino che lo spinge all'antica trascendenza spirituale.

Ma qualunque siano le cause e i destini, rimane il fatto che l'uomo sembra soffrire questo suo essere a metà strada, questo suo aver debordato dal naturale, superandolo e travalicandolo, senza però aver ancora completato il tragitto, senza riuscire a trovare dimora e sentirsi a proprio agio, scoprendosi ramingo e inquieto, sempre in cerca di una meta confusa, un approdo lontano, oltre l'orizzonte.

Mi è apparsa come una rivelazione: su questa condizione si fonda il disagio che ci affligge fin da giovani e si protrae, sopito in modo più o meno latente, negli adulti, rassegnati con ironia o malinconia. E tutte le forme di sballo, di evasione, di dipendenza, di nevrosi, tutto il repertorio dei disturbi che l'umanità manifesta in modo variopinto, allora forse non sarebbero altro che un carnevale perenne, un disperato tentativo di sfuggire a quel senso di disagio del sentirsi umano o meglio, come ebbe a dire il filosofo di Roken, “troppo umano”.

domenica 10 aprile 2016

Una lettera sacra

Plutarco scrive in un dialogo intitolato “L’E di Delfi” (Dialoghi delfici, Adelphi 1983) che Apollo ama suscitare e proporre i dubbi dell’intelletto agli uomini che possiedono un’indole filosofica, risvegliando nelle loro anime la passione per la verità. E soggiunge: “Ciò appare in moltissimi casi, ma in particolare a proposito del carattere sacro della lettera E”.

http://www.adelphi.it/libro/9788845905346
La mia curiosità cristiana per l’ebraismo probabilmente mi conduce talvolta a vedere o cercare tracce di esso anche dove non può esservi in alcun modo. Mi trattengo quindi dal fare parallelismi strampalati, che pure ad un lettore ignorante e superficiale come me vengono subito in mente leggendo questo dialogo: tra il metodo dialettico e quello midrashico, tra il pitagorismo e la cabala, tra il dio unico affermato infine nel testo di Plutarco e quello di Abramo.

Nel dialogo citato ad un certo punto si dice anche: “Poiché il principio della filosofia sta nell’indagine, e quello dell’indagine sta nello stupore e nel dubbio, è probabile che pressoché tutte le questioni riguardanti il dio siano state avvolte di enigmi”. Ed è proprio in questo stesso stupore e dubbio che mi sono ritrovato leggendovi del carattere sacro della lettera E.

Mi sono ricordato infatti di quanto scrive il linguista Joel Hoffman (“In the Beginning: A Short History of the Hebrew Language”, 2006) circa il passo di Genesi 17 “Non ti chiamerai più Abram (אַבְרָם) ma ti chiamerai Abraham (אַבְרָהָם)”. Hoffman non è interessato alla plausibilità della storia, l’esistenza o meno di un Dio e di una persona chiamata Abramo, tra cui sia stata stipulata una alleanza. Hoffman è un linguista e si pone solo una domanda di storia della lingua ebraica: “perché venne usata una He per contrassegnare l’iniziazione nella cultura Ebraica?”. La He compare due volte nel tetragramma ineffabile.

Non è da annoverare tra “le fantasie esposte il giorno prima da un ospite caldeo” (per citare un’altra frase dal dialogo delfico) il fatto che l’alfabeto greco sia mutuato da quello protosemitico e che la lettera E (epsilon) dell’alfabeto greco derivi dalla lettera ה (He). Certo, il pensiero neopagano di oggi direbbe che è solamente un caso. Ma, per chi vive ancora nello Spirito, il caso non esiste.