martedì 15 novembre 2016

Superumani

Non vorrei una vita diversa,
perché quella che ho
è davvero una figata.
-- Bebe Vio

“We're The Supethumans è il titolo del trailer pubblicato da Channel 4 per promuovere le Paraolimpiadi di Rio del 2016.



I protagonisti del filmato sono persone con disabilità che hanno sviluppato uno straordinario talento, artistico o sportivo. Ma l'efficacia del trailer è data da un messaggio implicito: la disabilità, riscattata grazie allo sviluppo di competenze e abilità straordinarie, è presentata come successo iperbolico, come emblema di una cultura del superamento del limite. Ho la tentazione di chiamare questa cultura del superamento “la religione del mio tempo”.

Sebbene essa non affermi di essere una religione, non è prudente crederle. Le sue miracolose promesse sono stranamente simili a quelle in voga nel mediterraneo già duemila anni fa. Sfamare gli affamati, guarire gli ammalati, sconfiggere il dolore, finanche la morte.

https://youtu.be/IocLkk3aYlk

La differenza è il modo in cui il suo verbo prende forma, per farsi visibile: ingranaggi e circuiti, molecole e onde che pervadono la nostra vita, fino a impiantarsi come protesi nei nostri corpi. I suoi libri contengono formule, matematiche ma non meno magiche, che ne regolano i prodigi. L’intelligenza artificiale è annunciata come la tanto attesa incarnazione del logos, il suo farsi “figlio dell’uomo” per redimerlo, per renderlo finalmente libero da ogni bisogno, finalmente superumano, indistruttibile e tecnicamente perfetto, cioè a sua immagine e somiglianza.

Anche stavolta non ci è dato sapere se le promesse siano sogni dai quali tutti si svegliano prima dell’ultimo respiro. Certo è che i superumani, se osservati da vicino, si scoprono persone molto umane, la cui volontà di vivere con pienezza è solamente mossa da uno spirito più forte del comune, antico e profondo, che viene da lontano, come quello del piccolo Davide che impugna la fionda. Uno spirito che non ripone speranza nei dispositivi come idoli moderni, ma semplicemente li usa come giocattoli, per affermare la propria sovrabbondante, ancorché ferita, umanità.

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